Lì, su dalle scale
sempre uguali, a metà strada fra sopra e sotto, sta una donna.
La donna ha occhi
orientali.
Vivo qui da quasi
due anni e per la prima volta decido di fermarmi dalla donna dei
fiori.
La mia casa è già
piena di fiori. Mi piacciono le piante e a giudicare dalla vivacità
con cui crescono, direi che il sentimento è reciproco.
La donna ha capelli
neri raccolti in una corta coda di cavallo e una frangia dritta sulla
fronte.
Mi accoglie con un
sorriso che sembra però poco convincente. Non capisco se sia davvero
felice.
Mi guardo attorno.
Ci sono bei fiori in
mezzo ad alcune brutture.
Le spiego che ho
invitato degli amici a cena e vorrei mettere dei fiori sul tavolo.
Mi mostra i
tulipani; i gambi chiari, i fiori ancora socchiusi.
Su una delle mensole
vedo delle gerbere. Sono aperte; i petali diritti e corposi sono
l'uno sull'altro accavallati. Risplendono di salute.
Mi decido per un
mazzo misto di tulipani e gerbere. Starà benissimo al centro del
tavolo.
La donna dei fiori
mi parla con accento un po' forzato, come di chi non fosse qui da
molto tempo. Ogni tanto, qui e là, le sue erre divenivano elle. Le
vocali chiuse e talvolta nasali.
Non parliamo molto.
Giusto l'essenziale.
Ma alla fine mi
rivolge una domanda. Un attimo prima di consegnarmi i fiori
incartati. Ritrae la mano per un istante e mi fissa con i suoi occhi
scuri.
"È
meglio aspettare il mattino, o aspettalsi
il mattino?".
Mi coglie alla
sprovvista.
Non so rispondere a
questa domanda che non comprendo a fondo.
Tuttavia lei non
sembra aspettarsi nulla.
Mi porge i fiori e
mi saluta con quel suo sorriso in qualche modo triste.
Da quel giorno la
guardo tutte le volte che le passo davanti. Lei è sempre
affaccendata. Talvolta parla con dei clienti, talvolta in una lingua
che non capisco con una donna. Sempre la medesima. Con la pelle del
viso rovinata sulle guance. I capelli lisci a caschetto. Gli stessi
stivali neri consumati.
Questa sera ho
invitato a cena lui. E sono un po' emozionata. Voglio comprare dei
fiori per la tavola.
Decido di fermarmi
dalla donna dei fiori di ritorno da lavoro.
Oggi indossa una
gonna nera alla caviglia e una maglia del medesimo colore. Ha
indossato, sopra di esse, un grembiule celeste ora macchiato qui e lì
di verde e marrone, e stropicciato in basso a destra.
Il sorriso triste è
il medesimo.
Mi saluta con
cortesia.
Le spiego le mie
necessità e lei mi suggerisce orchidee e peonie.
"Mio marito mi
regalava sempre un fiore, ad ogni nostro incontro. Le peonie
nascevano spesso vicino a casa e lui me le regalava di frequente.
Soprattutto in maggio."
"Dove si
trovava la sua casa allora?"
"Nel nord del
Giappone."
"E suo marito
dove si trova ora?"
"In Giappone".
C'è tanta tristezza
nei suoi occhi, che non oso chiedere altro. Pago quanto richiesto. La
guardo e lei parla. A mano a mano che le parole escono dalla sua
bocca, riacquista quel sorriso triste.
"È
meglio aspettare il mattino? O aspettalsi
il mattino?".
Accetto i fiori che
mi porge e saluto uscendo.
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